Cronache di ordinaria consapevolezza

Parliamo di consapevolezza.

Ogni gruppo di mindfulness che incomincia il suo cammino ha un suo profilo. Ho visto gruppi cominciare “ingessati”, imbarazzati, con una certa diffidenza, per poi sciogliersi durante il percorso. Altri mi sono apparsi, al contrario, entusiasti, carichi di sogni e aspettative di felicità. Ho condotto gruppi in cui si respirava sin da subito allegria, voglia di condivisione, apertura nel mettere in comune le proprie esperienze, quando anche si fosse trattato di dire qualcosa di intimo. Ho avuto il privilegio di raccogliere testimonianze forti, ascoltando cose che non mi sarei aspettata di ascoltare in un training in cui una delle prime cose di cui informo i partecipanti è che non si tratta di un gruppo di psicoterapia…

Maria Beatrice Toro
Maria Beatrice Toro

Eppure, ogni insieme di persone, ha qualcosa di simile. E ogni momento di dialogo mostra in controluce come siano molte di più le cose che ci uniscono che quelle che ci separano. Come esseri umani, in qualche modo, siamo tutti impegnati a fare i conti con le difficoltà inevitabili della vita. Siamo tutti in cerca di un po’ di pace in un mondo sempre più iperconnesso eppure sempre più frammentato.

L’ultima esperienza

Ieri sera,  in particolare, questo aspetto di umana comunanza si è mostrato in modo più palese del solito, con una dose di sincronicità sorprendente. Una frase che ritornava è stata “ Io non credo nelle coincidenze”, il che, per quanto possa sembrare ingenuamente new age, in verità racchiude un frammento di verità. In ogni microcosmo è racchiuso qualcosa del macrocosmo e, come in ogni goccia c’è l’oceano intero,  in ogni storia ci sono tante storie. E allora, ieri sera,  per ogni persona che raccontasse di aver perso qualcuno o qualcosa, o di sentirsi ferita, ansiosa, malinconica ce n’è stata un’altra che ha potuto dire: Ti capisco, ci sono, soffro con te.

E, naturalmente, mi sono ritrovata anche io a meditare su molte parole.

Come a ogni primo incontro, abbiamo fatto esperienza di mindful eating, con un assaggio di uvetta. Come a ogni primo incontro, ho tenuto sul palmo della mano due piccoli oggetti carichi di dolcezza, aromi, ricordi. E, mentre il gruppo faceva il suo lavoro, mi sono sorpresa a guardare con tenerezza ogni oggettino, percependone il colore, le trasparenze, le rugosità.  Ho sentito concretamente la possibilità di fare un’esperienza nuova, grazie al gruppo e a quell’uvetta che mi veniva  offerta, a quell’oggetto che si sarebbe lasciato mangiare da me! E sono tornata a casa un po’ più serena e un po’ più “nutrita”, sfamata attraverso un singolo acino d’uva più che da cento pranzi consumati di corsa pensando a tutt’altro.

 

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