LANGUISHING

Una condizione in cui non è presente una stabile compromissione del funzionamento psichico, ma si avverte malessere, senso di stagnazione e vuoto che rende più difficile la piena e soddisfacente partecipazione alla vita sociale, culturale, lavorativa

Maria Beatrice Toro ha conosciuto il tema del languishing leggendo un articolo divulgativo di Adam Grant che ne parlava come dell’emozione dell’anno, che avrebbe caratterizzato, probabilmente, non solo il 2021 ma anche, più in generale, il post pandemia.

Si tratta di una condizione di minore vitalità generale, con apatia, demotivazione e una certa ansia di fondo; tale condizione non può essere identificata come un disturbo vero e proprio, perché non risultano soddisfatti, per esempio, i criteri per la Depressione o per l’Ansia Generalizzata. Non è presente una stabile compromissione del funzionamento psichico, ma si avverte un malessere, un senso di stagnazione e vuoto che rende più difficile la piena e soddisfacente partecipazione alla vita sociale, culturale, lavorativa.

Maria Beatrice Toro tra le molte storie incontrate nei suoi pazienti nel corso del 2021 ha potuto vedere in controluce in diverse situazioni il languishing, come insieme di emozioni disturbanti “sottosoglia” e come depotenziamento cognitivo, ovvero mancanza di concentrazione e criticità nella programmazione di attività complesse e nella progettazione di piani a medio e lungo termine.

La nostra vita di cittadini di un paese occidentale si è sempre basata su alcuni capisaldi: un’attività regolare di studio o lavoro, relazioni familiari e una socialità che prevede una vita relazionale piena, in cui il tempo libero viene condiviso in attività di vario tipo, dallo sport all’aperitivo del venerdì sera. Le persone più serene ed equilibrate non solo lavorano, ma coltivano relazioni e fanno parte di gruppi di amici con cui andare al cinema, a teatro, a ballare.

Oggi queste attività sono possibili solo a singhiozzo e in molti ci sentiamo un po’ frenati nel ricominciare; sembrerebbe che stiamo frenando soprattutto nel programmare attività sociali complesse. Sarebbe bello scrivere che facciamo meno perché abbiamo ridefinito le nostre priorità privilegiando la qualità della vita rispetto all’iperattivismo frenetico, ma, purtroppo ciò è vero solo in parte.

Una delle cause della minore capacità di attivazione che sta riguardando tutte le fasce di età è un subdolo malessere che si colloca a metà strada tra normalità e disturbo psichico vero e proprio. Non dobbiamo sottovalutarlo, perché le persone che ne soffrono sono globalmente più a rischio di sviluppare, nel decennio successivo, disturbi da stress e depressione.

Per contrastare tutto ciò per fortuna come esseri umani abbiamo moltissime risorse e, spesso, è proprio la condizione della sofferenza che ci “costringe” a risvegliarle, per “fiorire”.

Flourishing, infatti, è lo stato opposto del languishing e si può coltivare attraverso un modello basato sulla psicologia positiva. Non è un tratto della personalità ma una condizione di benessere mentale, uno stato che si può coltivare e sviluppare intenzionalmente, da soli o con l’aiuto di uno psicologo. Il primo passo è un sincero esame di quelle che sono le nostre quotidiane attività “nutrienti”, ovvero quelle che ci danno energia e spinta e quelle “logoranti”, che la consumano.

Inoltre, possiamo utilizzare la meditazione per ricucire l’attenzione ferita dallo stress della pandemia. In questo senso la mindfulness, un metodo laico i cui risultati sono stati ben documentati dalla letteratura scientifica, è una risorsa su cui poter contare.

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