Alla paura di ammalarsi di Covid si aggiunge quella di essere oggetto dello stigma. E’ il Covid-shaming che spinge molte persone a non comunicare la propria positività al virus
Storicamente, lo stigma e il sentimento della vergogna hanno accompagnato le varie pandemie, ad esempio durante la peste in Europa il popolo ebraico divenne un comodo capro espiatorio, oppure nel corso dell’epidemia di colera in Gran Bretagna, nel 19° secolo, furono accusati
gli irlandesi della classe operaia. Più di recente, gay e haitiani sono stati stigmatizzati durante l’epidemia di Aids negli Stati Uniti.
Lo stigma di oggi invece riguarda il Covid, infatti i gruppi di Facebook sono
pieni di storie di persone etichettate come potenziali vettori e che raccontano come siano esclusi dalle riunioni di famiglia e segnalate alle autorità sanitarie pubbliche.
Si pensi al caso di Cortland Cronk, un ragazzo canadese di 26 anni, positivo al Covid su cui è stato fatto un Meme che lo ‘dipingeva’ come un Grinch ed è anche stato vittima di minacce.
A riguardo la Dottoressa Maria Beatrice Toro, psicologa, psicoterapeuta e direttrice della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia (Scint), in un intervista pubblicata su laRepubbica.it e LASTAMPA.IT, ritiene che queste situazioni capitano un po’ ovunque perché la vergogna è un sentimento che si presenta come una sorta di reazione di fronte allo stigma, e aggiunge che “Chi giudica l’altro, il Covid -positivo, e lo addita come una sorta di untore, mette in atto un meccanismo per esorcizzare il problema e allontanare da sé stesso la malattia”.
Tutto ciò accade da sempre in varie situazioni da ‘shaming’, nel caso del Covid c’è anche l’idea che si tratti di qualcosa che possiamo controllare e che genera a sua volta la convinzione che chi se l’è preso abbia sbagliato qualcosa, magari non seguendo le regole.