Ragazzi sui binari per un selfie. L’esperta Maria Beatrice Toro: “Pensano di esistere solo se visibili in rete. Genitori siate più presenti”

di Giovanna Pasqualin Traversa

Selfie estremi, sfide pericolose fino alla morte. L’ultima di una lunga serie quella di quattro ragazzini, ieri a Bologna, sui binari dell’alta velocità. Tragedia evitata dalla prontezza di riflessi del macchinista. Sono alla disperata ricerca di visibilità e non hanno l’esatta percezione della loro corporeità e dei rischi che corrono, spiega Maria Beatrice Toro,docente di psicologia di comunità all’Auxilium

Ma questo non è che l’ultimo caso di una lunga serie che vede giovanissimi cimentarsi in imprese impossibili a volte, purtroppo, con esiti mortali: salti da un tetto all’altro di grattacieli, sfide all’autosoffocamento, attesa delle auto sdraiati sull’asfalto per spostarsi all’ultimo istante; gesti estremi da immortalare in un selfie da mettere in rete per renderli pubblici e visibili a tutti. Ne parliamo con un’esperta: Maria Beatrice Toro, docente di psicologia di comunità presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium.

Che cosa spinge questi ragazzi a questi comportamenti così estremi?

La ricerca di sensazioni forti e la protesta verso il mondo degli adulti insieme alla mancata consapevolezza del rischio. Spesso non hanno mai giocato per la strada; non hanno toccato i propri limiti fisici. Cresciuti per lo più in casa davanti alla consolle o al pc, hanno poca dimestichezza con una realtà diversa da quella del computer o del telefonino. In tutto questo c’è una tragica e fatale inesperienza.

Dunque un disperato bisogno di attenzione. Ma perché?

Quando sono piccoli, i figli vengono quasi oppressi dalle coccole e dalle attenzioni dei genitori. Poi, man mano che crescono iniziano a ribellarsi e tentano di “allontanarsi” con atteggiamenti provocatori che spesso spiazzano i genitori incapaci di passare dalla genitorialità di un bambino a quella, più impegnativa, di un adolescente. Quello che occorre, e che invece viene meno, è una presenza costante, semplice, discreta, nella vita ordinaria di tutti i giorni.

Che cosa consiglierebbe, dunque, ai genitori?

Anzitutto, come dicevo, una presenza non invadente ma costante, costruita negli anni avviando il dialogo con i figli fin da piccoli, stabilendo regole chiare, modulando i tempi con i loro, rispettando i loro spazi ma osservandoli, accompagnandoli e andandoli a riprendere nelle loro prime uscite serali. Faticoso ma indispensabile: a 14-15 anni niente mini car né rientro libero la sera.

Sono i ragazzi fragili quelli più a rischio: se un adolescente non è ben integrato nel gruppo, va male a scuola, non mangia, dorme male sta esprimendo segnali di disagio da non trascurare.

Preziosa anche l’alleanza con fratelli e sorelle più grandi, cugini e, se ci sono, zii e zie più giovani perché spesso i ragazzi ascoltano più volentieri loro che i genitori. Ma questi ultimi non sono onnipotenti: di fronte ad un figlio che non esce, si isola, dà segni di sofferenza, occorre avere il coraggio di chiedere un aiuto anche specialistico. Viviamo in una società difficile: per i ragazzi più vulnerabili occorre costruire un cordone sanitario; un recinto di amore, affettività, presenza, sostegno, l’unica cosa che può salvarli.

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