
Buttar via la vita: dal balcone, dalla tromba delle scale, sotto la metro, lanciare nel vuoto i quindici anni e quel dolore così forte da desiderare che sia l’ultimo. O lasciarla andare via, come ha fatto Noa Photoven, la ragazza olandese di 17 anni: niente più cibo e acqua. Respiravo e basta, ha scritto Noa, dopo aver subito da bambina una violenza. Anoressia, depressione e poi la decisione di morire.
Sempre di più i ragazzi che decidono di farla finita: il suicidio in Italia è la seconda causa di morte tra i 15 e i 25 anni, dopo gli incidenti stradali. Negli Usa è già oggi la prima causa, per chi ha tra i 10 e i 14 anni.

L’Olanda non ha autorizzato l’eutanasia
Ma chissà quanti «comportamenti temerari» sono in realtà suicidi mascherati, avverte il professor Ugo Sabatello, del dipartimento di neuropsichiatria infantile della Sapienza. Scontri e voli con il motorino, cocktail di droga e alcol, le sfide con la morte, così comuni a quell’età. Si pensa che si suicidano i ragazzi depressi, «non è detto che sia così, all’origine del gesto ci può essere il pensiero onnipotente, proprio di quell’età, o persecutorio»
I dati:
secondo le stime Istat, ogni anno in Italia circa 500 adolescenti arrivano a togliersi la vita, il 24 per cento ci ha pensato almeno una volta.

«Una fase della vita di grande vulnerabilità – spiega Maria Beatrice Toro, psicoterapeuta e direttrice della scuola di specializzazione di Terapia cognitiva interpersonale – l’emotività è molto intensità ma non ci sono ancora gli strumenti per gestirla per via dell’immaturità caratteriale e anche biologica. Solo a 25 anni il cervello, da un punto di vista neurologico, diventa come quello di un adulto e solo allora si raggiunge il controllo delle azioni.