Maestri di cucina, insieme a psicologi e malati di anoressia e bulimia si sono incontrati per dialogare sul cibo e ciò che esso significhi
ROMA, 27 giu – Grande successo per la prima edizione di “Cibo & Psiche & Arte” svoltasi a Roma presso la Domus Sessoriana, con un pubblico che ha rapidamente registrato il tutto esaurito, ed è rimasto numerosissimo e attento fino alla fine, nonostante il caldo.
L’ambiente della Domus, con gli orti, il terrazzo e la sala convegni, ha costituito una variegata e piacevole cornice per questo incontro, organizzato dall’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC), presieduta dallo psichiatra Tonino Cantelmi, in collaborazione con Chaine des Rotisseurs, Confrerie mondiale di origine medioevale che si occupa della diffusione della cultura gastronomica nel mondo.
Maestri di cucina, insieme a psicologi e malati di anoressia e bulimia si sono incontrati per dialogare sul cibo e ciò che esso significhi.
L’elemento unificante delle varie esperienze di chi, sul versante professionale o personale si è dovuto confrontare con il valore da attribuire al cibo, è senz’altro riconducibile alla constatazione che esso non costituisce solamente un fabbisogno nutrizionale, ma risulta anche un potente mezzo di comunicazione.
La nota psicoterapeuta Maria Rita Parsi ha sottolineato come “Il cibo sia espressione di una relazione d’amore, a partire dal rapporto madre-figlio, fino al simbolo del sacramento eucaristico nella religione cristiana. E’ talmente segno di legame” ha proseguito “che oggi per valutare rapidamente le condizioni di benessere psicologico di un bambino lo si osserva mentre mangia: se mangia poco, tanto, rapidamente, o non mangi affatto. Prima un bambino che non mangiava era semplicemente un bambino che aveva un problema con il cibo. Oggi una seria inappetenza viene considerata sintomo di qualcos’altro. I disturbi del comportamento alimentare, più che esprimere un problema fisico, sono un sintomo psicologico ricollegabile ad un disagio di tipo relazionale, soprattutto all’interno dell’ordine familiare”.
In successivo intervento di Maria Beatrice Toro, anche lei psicoterapeuta, ha ripreso il concetto:”Non si può parlare di cibo, senza parlare d’amore. La depressione è la manifestazione di un vuoto particolare, che alcuni colmano con il cibo, che si può trasformare in una sostanza di abuso, una sorta di droga leggera. Questo utilizzo è reso possibile anche da ragioni chimiche, poiché alcuni alimenti hanno all’interno sostanze che producono effetti particolari, basti pensare al noto effetto sedativo del latte, o a quello della cioccolata di attivazione dei centri del piacere”. La fiaba di Hansel e Gretel con la casetta di marzapane da divorare che finisce per rivelarsi divoratrice, può essere interpretata, secondo la psicoterapeuta, alla luce del rapporto tra cibo, mondo infantile e sviluppo dell’indipendenza dal contesto familiare. “Vi sono a volte dipendenze più gravi che nascono dal fatto di non aver potuto dipendere, a suo tempo, da qualcun altro. Si può individuare uno strettissimo legame tra la solitudine e i disturbi del comportamento alimentare, tra il vuoto che ci si sente intorno ed il bisogno di stordirsi con un senso di sazietà interno, che poi si trasforma inevitabilmente in senso di colpa”.
Molto positivo il fatto che la visione proposta da medici e psicologi è stata pienamente confermata dalle esperienze fornite da un’associazione di ex-malati di bulimia e anoressia, l’Associazione insieme con te Onlus. Donne di diverse età che, con coraggio e semplicità, hanno raccontato la propria storia di conflitto con il cibo. Ecco cosa ha raccontato una di loro, Diana: “Ho sofferto molto di depressione, è una malattia grave. La mia reazione era il classico atteggiamento di chi affoga i dispiaceri nel cibo. Di fronte ad un’inquietudine profonda il senso di sazietà introduce in una sorta di stato vegetativo, che appanna le ossessioni”. Un’altra giovane ragazza ha aggiunto: “La capacità di auto-ascoltarsi è fondamentale. Le cose hanno cominciato ad andare meglio soltanto quando ho imparato ad ascoltare me stessa, prima di ascoltare gli altri”.
“Per guarire sono fondamentali la motivazione e la percezione di sé come malati” ha affermato la psichiatra Alessia D’andrea, Responsabile Organizzativa di Villa Monia, primo centro accreditato dalla Regione Lazio per i disturbi del comportamento alimentare, di recente inaugurazione presentato per la prima volta al pubblico in occasione della tavola rotonda. “L’idea su cui poggia il nostro modello operativo è quello di proporre un approccio multidimensionale di cura e riabilitazione dei DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) attraverso un aiuto ed un sostegno continuo che porti all’acquisizione di una consapevolezza della malattia, quindi alla nascita di una motivazione al cambiamento. Per questo è preziosa la risorsa di 8 posti residenziali e 20 semi-residenziali, che permettono in una prima fase del percorso di offrire alle pazienti un ambiente favorevole al raccoglimento”. Il centro, situato al centro del Parco dei Castelli Romani, utilizza un modello terapeutico integrato, basato cioè sulla collaborazione di un equipe multi-disciplinare.
Far conoscere e valorizzare le soluzioni concrete attualmente disponibili è estremamente importante, considerando che il problema dei disturbi del comportamento alimentare affligge sempre più famiglie italiane.
In Italia, secondo il Ministero della Salute (2006) circa 3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione, si trovano a fare i conti con i disturbi del comportamento alimentare, e l’8/10 % delle ragazze e lo 0,5 /1% dei ragazzi soffrono di anoressia e bulimia. Oltre il 3% della popolazione, percentuale in costante aumento, presenta una problematica di anoressia-bulimia conclamata.
Il 95% sono donne, anche se sono sempre più numerosi gli uomini che manifestano questi sintomi e si rivolgono a strutture specializzate. Queste patologie si manifestano prevalentemente dai 12 ai 25 anni. Negli ultimi tempi emerge un preoccupante aumento delle fasce d’età che riguarda in particolare i bambini pre-puberali e le donne in menopausa.
Nel Lazio – in base ai dati del Piano Sanitario Nazionale 2002-2005, integrati con i dati Istat, nella regione sarebbero circa 42.800 le persone affette da disturbi alimentari nella sola fascia d’età tra i 12 e i 25 anni.
Va inoltre ricordato che l’anoressia è la prima causa di morte in psichiatria.
Da qui la necessità di iniziative come “Cibo & Psiche & Arte” che analizzino il valore del cibo contemporaneamente dal punto di vista biologico, psicologico e sociale, con un approccio insieme complesso e creativo.
Ma cosa può raccontare uno Chef ad un’anoressica o ad una bulimica? Lo chef stella Michelin Fabio Baldassarre, dell’associazione Chaine des Rotisseurs, ha rievocato una sua esperienza personale. La vicenda di una ragazza magrissima, con seri problemi alimentari, che si era proposta come apprendista nella sua cucina. “Altrove nessuno la voleva, aveva comportamenti strani, a volte di fronte al cibo scoppiava in lacrime. Io l’ho presa con me ugualmente. L’ambiente di cucina, che a volte è semplice e categorico come quello militare, le ha fatto bene. Ora questa ragazza è guarita, fa un altro lavoro, è stata presa in una banca, è un fiore di donna, per me è una gioia vederla. Comunque credo che i crescenti disturbi alimentari siano ricollegabili al diverso spazio che si da oggi alle relazioni. Basta pensare che le nuove case le fanno senza cucina, o con una cucina microscopica, quand’è che i genitori parlano con i figli se non si mangia più insieme?”.
Tonino Cantelmi, psichiatra romano, docente universitario e responsabile didattico della scuola di specializzazione psico-terapeutica ARPCI (Associazione per la Ricerca in Psicologia Cognitivo-Interpersonale), nonché moderatore della tavola rotonda, ha posto fine al dialogo lanciando un’ulteriore iniziativa.
Si tratta di un Protocollo di Ricerca dell’ARPCI, già approvato dall’Istituto Regina Elena, che studi le conseguenze della depressione sulla qualità della vita e sulle capacità di combattere la malattia, nei pazienti malati di cancro. Un progetto che mostra ancora una volta una forte sensibilità operativa dell’Associazione nei confronti della sofferenza umana, nella sua dimensione psicologica.
Una performance artistica di Mimma e Vettor Pisani ha concluso l’evento. L’artista concettuale ha proposto un video ed una performance dal vivo, che si è svolta nel cortile della Domus, mentre il pubblico la osservava dall’alto sulla terrazza, alla luce delle fiaccole.
Una modella è giunta trascinando una pentola con della pasta, simbolo del peso che una donna malata di anoressia è costretta a portare con sé e di cui vorrebbe disfarsi. Il suo procedere si è concluso di fronte ad un uomo con una maschera, simbolo della morte. Nel grembo della morte, la donna ha posto un po’ della pasta nella sua pentola. A quel punto essa si è rivelata, togliendosi la maschera.
Divertente e paradossale, per comprendere quanto sia forte la cultura che diffonde un’immagine corporea dai canoni un po’ distorti, anche tra chi assiste ad un tavola rotonda di questo tipo, un commento di alcuni spettatori sulla terrazza:” Certo, io però mi aspettavo una modella bionda, alta e magra….”.