La giornalista Federica Sciorilli Borrelli intervista la Prof.ssa Maria Beatrice Toro, per il salvagente.it, sul nuovo format MasrecheJunior che presuppone le stesse dinamiche di MasterChef, le stesse prove (Mystery Box, Invention e Pressure Test) ma gli autori promettono:”sarà cucito a misura di bambino”.
Il rischio popolarità
Ma quali sono i rischi che si corrono a destinare un format pensato per gli adulti ai più piccoli?
“I rischi non sono tanto connessi alla competizione in sé, che, forse, è anche meno serrata di quella che si vive in un qualunque sport agonistico, ma a quella preoccupante uniformazione al codice adulto in atto nella nostra società e di cui questo talent è un chiaro segnale”, spiega la dottoressa Maria Beatrice Toro, psicologa e psicoterapeuta esperta di età infantile, adolescenziale e di nuovi media. Che aggiunge: “A 8/9 anni si è ancora cronologicamente ragazzini, ma i comportamenti sono ormai quelli tipici dell’adolescenza: ricerca di protagonismo sociale, o, in altre parole, di quella popolarità tanto agognata da grandi e piccini che questi talent regalano, seppur per una sola stagione”.
In una recente intervista pubblicata su Panorama, Alessandro Borghese ha parlato dei concorrenti in gara, descrivendoli come bambini già molto temprati di carattere. Poi ha promesso: “saremo dei bravi psicologi”. Cosa ne pensa?
Credo che i bambini di oggi (almeno molti di loro) siano dei “finti” forti. Spesso la loro puntigliosa caparbietà è solo una corazza che usano per difendersi dall’esterno e per nascondere le loro ansie, le paure, le insicurezze ma anche difficoltà a relazionarsi con i pari e sentimenti di inferiorità. Essere più o meno forti, nei bambini, poi, non vuol dire necessariamente avere quella solidità personale che consente di affrontare le sfide e le competizioni della vita con serenità e leggerezza. Anzi, non è quasi mai così. I bambini di oggi si prendono molto sul serio, troppo. È la colpa spesso è di noi genitori che non riusciamo quasi mai a dire quei famosi “no che aiutano a crescere” e li lasciamo in balia del loro mondo emotivo. Per quanto riguarda la promessa di Borghese, invece, credo che la frase sottintendesse, semplicemente, che saranno persone sensibili. Ma la psicologia è un’altra cosa. Decisamente.
Durante MasterChef Junior gli spettatori avranno la possibilità di interagire con il programma tramite i social network. Come può influire sulla crescita e sul carattere di questi bambini essere giudicati continuamente da chi guarda da casa?
Sul momento li metterà in ansia e li condurrà a comportarsi in modo meno spontaneo, finalizzando parole, sguardi, atteggiamenti, a ricevere il consenso di chi li guarda e giudica. A lungo andare, invece, li renderà più abili a cogliere le richieste del mondo che li circonda e cominceranno a comportarsi in modo dipendete dagli altri come fanno molti adulti. Il rischio è che così facendo perdano anche sicurezza in se stessi.
Secondo lei cosa ha spinto gli autori ad adattare un format già così avviato e di successo a dei concorrenti così giovani?
Nel mondo dello spettacolo qualcosa che funziona viene riproposto, anche se in questo caso non so se calare la tipologia di programma sui bambini finirà per depotenziare un po’ la formula del talent show. Spiego perché. La maggiore tutela, protezione, che autori e giudici avranno per questi giovanissimi baby chef, come è giusto che sia, spoglierà inevitabilmente i concorrenti di quell’emotività spontanea che li contraddistingue nella vita di tutti i giorni. Ognuno con i suoi sogni, le sue ansie, le sue paure, le sue emozioni in genere. Motivo questo per il quale agli occhi di chi guarda questi giovanissimi concorrenti potrebbero apparire uno lo stereotipo dell’altro, dei veri e propri personaggi più che dei bambini in carne ed ossa.
I bambini lasceranno quindi il posto a dei personaggi…
Questo però non deve essere visto necessariamente come un male: il talent troverà comunque i suoi protagonisti e, mi auguro, eviteremo gli eccessi di pianti e arrabbiature a cui ci hanno abituati gli adulti! Aggiungo però una cosa. Ricordiamoci che stiamo parlando di bambini e che quindi esibire le loro emozioni senza remora alcuna, senza filtri, non sarebbe corretto. I bambini sono un piccolo mondo da rispettare e dovrebbero sempre poter godere di quella che Michele Serra ha definito “felice marginalità infantile”, una condizione in cui si cresceva fino a non molto tempo fa, con tanti spazi vuoti, magari noiosi, ma importanti perché stimolavano la capacità di autogestirsi.
Qual è il messaggio che passa ai coetanei che seguono questi giovani provetti dalla tv?
Nei bambini scatterà sicuramente un processo di emulazione dei baby chef. Anche loro vivranno il tema del giudizio immedesimandosi nei concorrenti dai quali impareranno e imiteranno gli atteggiamenti giusti per piacere e “vincere”. Per fortuna è un talent sulla cucina, una dimensione calda, familiare, che ammorbidisce un po’ la competitività in studio e alleggerisce anche il messaggio che arriva ai coetanei che seguono il programma da casa: è sicuramente più educativo vedere bambini che si sfidano a colpi di mestolo che non ragazzine vestite e truccate come modelle che si fanno la guerra in passerella come succede in alcuni talent americani. In fondo, se hai cucinato un buon piatto, puoi rimanerne convinto anche se il giudice non lo ha gradito.
Lei farebbe partecipare sua figlia ad un talent o consiglierebbe ad una amica o ad una sua paziente di far partecipare i propri?
Sono scelte personali, non lo farei, ma è una questione di sensibilità. Ripeto ci sono tante follie in cui infiliamo i bambini, dallo sport agonistico vissuto come un dovere più grande di loro, alla pretesa che ci riscattino in quello in cui noi genitori non abbiamo avuto successo. A volte li trattiamo come dei “mini-me”, altre, li imitiamo persino. Segno, come dicevo all’inizio, che qualcosa sta cambiando e che ancora non si sono trovate le giuste chiavi per ridefinire i rapporti tra le generazioni. Cosa che mi auguro succeda presto.